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Argentina Altobelli Brani scelti

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Argentina Altobelli - breve antologia di scritti e discorsi

Nel 1924 i fascisti assaltarono la sede della Federterra a Roma, dandole fuoco. Tutta la documentazione e 20 anni di lavoro di Argentina andarono in fumo. Della sua opera, quindi, è rimasto ben poco. I brani che seguono sono tratti principalmente dal volume, a cura di Silvia Bianciardi, Argentina Altobelli. Dalle carte della Fondazione Turati, Lacaita, Manduria-Bari-Roma 2002. I brani riportati, parziali e incompleti, vogliono mostrare la complessità dell’azione e dell’organizzazione sindacale, la Federterra, guidata tanto a lungo da Argentina.

A Molinella, Medicina, Mezzolara ed in molti altri paesi di risaia, perdura il boicottaggio contro i proprietari risicoltori che non vogliono accettare la tariffa della lega e che vorrebbero invece imporre il patto vessatorio della consociazione dei proprietari che pretende la ritenuta del 30 per cento sulla mercede dei lavoratori. La resistenza contro la consociazione è compatta. Persino i disorganizzati si sono associati in questa lotta contro la prepotenza padronale e per l'orario di 8 ore in ri­saia. Nei paesi di coltivazione di terra asciutta, moltissime le­ghe hanno ingaggiato scioperi come a Pianoro, S. Pian di Macina, Granarolo, S. Lazzaro, Castelfranco, Persiceto, per far trionfare il concetto della tariffa unica col massimo orario delle 10 ore di lavoro e per il salario di lire 0,20 agli uo­mini e lire 0, 15 alle dorme. A Crevalcore, Ponte Ronca, Borgo Panigale, Castenasovi, sonvi boicottaggi, perché alcuni proprietari hanno accetta­to la tariffa delle leghe. L'organizzazione invece di diminuire per queste agitazioni aumenta ogni giorno e la vittoria è quasi sicura per la completa solidarietà dei lavoratori”.

(“La confederazione del Lavoro”, 23 marzo 1907)

La lotta dei mezzadri nel Forlivese non accenna ancora ad alcuna soluzione. I coloni sono disposti alla resistenza e ad abbandonare i fondi se i proprietari non acconsentono a discutere i patti colonici. Si succedono i comizi di contadi­ni, coll'intervento dí Senofonte Entrata e della Segretaria Altobelli.

I contadini in agitazione nel Ravennate si sono adunati in Lugo, assistiti dal segretario della Camera del lavoro di Ravenna, e deliberarono per il primo maggio la pubblica­zione di un manifesto contenente le riforme da introdursi nei vigenti patti di colonia, e l'accordo colle organizzazioni dei braccianti per ciò che riguarda la tariffa dei lavori e l'abo­lizione dello scambio delle opere.

("La Confederazione del Lavoro", 30 marzo 1907)

"Compagni!

"Nella provincia di Parma dura, aspra, tenace, la resistenza dei nostri fratelli lavoratori della terra contro i pa­droni e le bande armate dei liberi delinquenti.

"Compagni!

"Tutti gli sforzi della borghesia mirano a colpire quelle organizzazioni operaie nel cui grembo matura la civiltà del domani: civiltà senza sfruttati e senza sfruttatori! "I nostri fratelli del Parmense che resistono alla violen­za con la serenità dei forti, non devono cedere per fame!

"Inviate tutti, o lavoratori delle terre d'Italia, il denaro della solidarietà al nostro Ufficio di Segreteria presso la casa del Popolo in Bologna: e sarà con sollecitudine distribuito agli scioperanti, a mezzo di un nostro Comitato di assistenza.

"Per la Federazione Argentina Altobelli, Segretaria" (La Confederazione del Lavoro", 30 maggio 1908)

Ringrazio l'E.V del saluto gentile, che noi pos­siamo ritenere come inizio di opera riparatrice all'ingiusti­zia che finora ha colpito la donna, anche la donna che ha saputo dimostrare la sua attività ed il suo pensiero, e lo rite­niamo come un buon auspicio per la ponderazione che la donna a suo riguardo si attende nella legislazione in altri campi. E riteniamo anche che la nostra entrata in questo alto Consesso sia un buon augurio per un più ampio diritto che la donna chiede le sia riconosciuto: quello di essere chia­mata all'esercizio del voto: diritto che le spetta come citta­dina, come partecipante alla vita civile e sociale della Na­zione.

Noi cercheremo di collaborare, modestamente come ce lo permettono le nostre forze all'importante opera di que­sto Consiglio, ma permettete, Eccellenza ed egregi consiglieri, che ricordi a voi che io qui rappresento un esercito numeroso di lavoratori i quali fino ad oggi si sono trovati in una vera condizione di ingiustizia sociale di fronte alle leg­gi protettrici del lavoro.

I lavoratori della terra, pur troppo, non hanno potuto fin qui ottenere quelle leggi protettive che sono concesse ai la­voratori delle industrie, mentre non meno faticoso e spesso non meno insalubre è il loro lavoro, e non inferiore il loro diritto di cittadini dello Stato italiano.

Io credo, e ritengo di interpretare il sentimento anche della mia compagna, di poter qui semplicemente dichiara­re che noi, come donne, daremo soltanto una modesta col­laborazione a quella che sarà l'importante opera vostra, anche pel numero esiguo che noi, come elemento femmini­le, possiamo rappresentare; ma io credo anche però che la nostra voce, come con molta gentilezza ha detto S.E. il Mi­nistro presidente, sarà ascoltata, sia pure semplicemente come la eco di tutte le voci delle donne lavoratrici che non si possono far sentire : la eco delle loro miserie, delle ingiu­stizie sofferte, dei diritti non riconosciuti, e che sperano sa­ranno riconosciuti qui, da questo alto Consenso come sono riconosciuti gli interessi di tutti i cittadini italiani.
(Benissimo! Applausi!)

(Intervento al Consiglio superiore del lavoro 1912)

“Da ogni parte d'Italia si eleva il grido acuto della miseria.

La guerra scellerata ha esasperato la disoccupazione.

Le mi­gliaia di emigranti cacciati dall'Europa rendono più buio l'inver­no che si avvicina.
I provvedimenti del Governo sono fittizi ed inefficaci.

Le leggi speciali votate per la infelice Italia Meridionale ri­mangono lettera morta. La disoccupazione che ivi ha cause com­plesse, dipendenti dalla situazione agricola, attende invano il sol­lievo di provvedimenti sociali, invano attende le opere pubbliche, i lavori portuali, idraulici, stradali.

Nel Settentrione la disoccupazione cronica, esacerbata dal con­traccolpo della guerra, vien placata con promesse vane ed incon­cludenti.

In quest'ora si denuda nelle sue conseguenze più crude la as­senza dí una politica dei lavori pubblici.

I provvedimenti straordinari presi dal Governo, costituiscono una feroce ironia. I 100 milioni per mutui alle Provincie ed i 34 milioni destinati per la costruzione di ponti e strade, non potran­no effettivamente erogarsi che in piccola parte date le procedure lunghe, difficili, burocratiche che si devono superare.

Lavoratori!
I convegni di Bologna, della Romagna, della Lombardia, del Veneto e del Meridionale, hanno affratellato tutto il proletariato della terra d'Italia.
I lavoratori non cadranno più nel gioco delle diffidenze regio­nali.
Alle invocazioni di guerra essi rispondono colla invocazione di lavoro.
Essi vogliono vivere, lavorare per sé, per la vera forza e la vera gloria del paese.
Domenica 13 dicembre in tutta Italia e nelle isole il proletaria­to leverà alto questo suo formidabile grido.
Unitevi tutti al coro immenso della sofferenza proletaria che afferma il suo diritto”.

Bologna, 23 novembre 1914. La Segr. della Fed. Naz. Argentina Altobelli
("La Confederazione del Lavoro", 1° dicembre 1914)

Gli Uffici di collocamento di classe, cioè retti per conto della Organizzazione, tendono a regolare la distribuzione della mano d'opera con equità, controllare il rispetto delle tariffe, e dare assetto e stabilità ai risultati della resistenza. L'esperienza ha dimostrato come si renda necessario ogni giorno integrare la resistenza con istituti complementari, senza dei quali la sua azione resterebbe paralizzata o sensi­bilmente diminuita nella sua efficacia.

A che varrebbe scioperare e conquistare un aumento di tariffa quando manchi un Istituto di controllo sulla onesta applicazione della conquista stessa?

L'accaparramento della mano d'opera abbandonata alla libera scelta del conduttore di terre renderebbe nulli la con­quista e lo sforzo della resistenza.

Non fu facile compito alla Federazione Nazionale il fare istituire gli Uffici di collocamento dalle Leghe di resistenza.

Questi Organi che tendono a disciplinare nel modo più proficuo gli sforzi della resistenza sono destinati ad incep­pare in tutti quegli impedimenti d'ordine morale e materia­le che costituiscono la debolezza dell'Organizzazione.

L'avversione alla disciplina del collocamento si riscon­tra nei lavoratori non meno che nei padroni.

In questi l'avversione è suggerita da evidenti questioni economiche e per la preferenza all'assunzione libera, che, malgrado i suoi inconvenienti, consente larghezza di scelta e determina la concorrenza tra i lavoratori.
…omissis

I lavoratori più robusti tendono a sottrarsi al livellamento creato dall'Ufficio di collocamento. Costoro hanno la co­scienza del loro valore e rifuggono dal pensiero di rinun­ciare ad una parte del lavoro (che difficilmente manca agli operai abili e scelti) in favore dei più deboli.

L'interesse della collettività e la compattezza ella massa riescono infine, pur traverso a difficoltà spesso non lievi, ad avere il sopravvento.

Oggi gli Uffici di Collocamento sono introdotti in tutte le Organizzazioni, e trionfano sui sentimenti di egoismo.

La Federazione Nazionale per agevolare il funzionamen­to degli Uffici di Collocamento fornisce un impianto tecni­co ed amministrativo, col quale con molta facilità i lavora­tori possono elencare:

1°) la nota dei lavoratori iscritti all'Ufficio ed il loro stato di famiglia;

2°) la estensione e coltivazione del terreno posseduto dai padroni;

3°) quanta mano d'opera fissa hanno alle loro dipenden­ze i conduttori di fondi;

4°) quante giornate lavorative hanno richiesto e debbo­no richiedere all'Ufficio.

Gli Uffici di Collocamento sono riconosciuti anche dai proprietari che ad essi si rivolgono per la richiesta della mano d'opera occorrente.

“Le Organizzazioni dei Lavoratori della Terra, col loro carattere di resistenza, pensarono subito di dare un prezzo al lavoro sfruttato iniquamente dai proprietari e presenta­rono delle tariffe orarie col proposito di poterle imporre mediante la forza della loro solidarietà.
Ma se quasi dappertutto si riuscì nel primo momento a strappare migliori salari ai proprietari, che cedettero per effetto forse della sorpresa dì quel moto, sopraggiunsero poi le sconfitte in parecchi scioperi fatti appunto per la con­quista delle tariffe presentate dalle Organizzazioni”.
…omissis

“Ma anche contro la resistenza cieca dei proprietari, i la­voratori riuscirono, attraverso agitazioni, ad avere ogni anno sensibili miglioramenti di orario e di salario.

Nelle Province dove la resistenza ha esercitato una co­stante e seria funzione, si ottennero migliori tariffe: tariffe diverse da Provincia a Provincia per varie ragioni economi­co — agricole, ma specialmente in misura della relativa potenzialità delle Organizzazioni e della maggiore o mino­re energia esplicata dalle Organizzazioni colla resistenza.

La Federazione Nazionale seppe mettere in evidenza queste diversità e seppe correggerle attraverso molteplici riunioni circondariali e regionali, nelle quali le organizza­zioni si potevano intendere e stabilire la tattica da adottarsi per la elevazione e la perequazione delle tariffe”.

…omissis

“Le tariffe ed i patti di lavoro oggi esistenti possono riassumersi informati a questi principali criteri:

1°) salario ad ora e non più a giornata;

2°) dall'uso dell'orario da sole a sole si è raggiunto l'orario delle 8 ore;

3°) Il massimo salario che si riesce a conquistare è il mi­nimo prezzo d'impegno per la mano d'opera;

4°) Abolizione di regola del lavoro a cottimo;

5°) Riconoscimento dell'Organizzazione da parte dei proprietari;

6°) Riconoscimento in gran parte degli Uffici di Colloca­mento delle Organizzazioni, dai quali i proprietari assumo­no la mano d'opera;

7°) Impegno da parte dei proprietari di assumere mano d'opera in proporzione ai fondi coltivati per salvaguardare í lavoratori dalla disoccupazione.

Non si possono esattamente stabilire i miglioramenti dei salari raggiunti ad oggi perché essi variano da stagione a stagione, e dà lavoro a lavoro.

Circa questi miglioramenti molte esagerazioni e molte inesattezze si sono dette e scritte.

In verità i maggiori salari sono assorbiti dall'aumentato costo dei generi di prima necessità e dalle esigenze più civi­li del tenore di vita dei lavoratori.

Dalle inchieste compiute si può affermare che i lavorato­ri della terra guadagnano all'anno dalle 3 alle 4 mila lire, e conviene considerare che il loro lavoro può ritenersi di non oltre 220 giornate all'anno perché essi non hanno alcun gua­dagno nelle giornate festive o di pioggia”.

 

“In Italia abbiamo circa 140.000 ettari di terreno coltivati a riso di cui la gran parte nelle Province di Novara e Pavia non bastando la mano d'opera locale emigrano nel mese di maggio e giugno per il lavoro della monda in quelle zone migliaia e migliaia di lavoratori e in prevalenza donne, vec­chi e fanciulli per trarre un guadagno che deve servire per la cruda stagione invernale.

Non è descrivibile la condizione tristissima in cui quella povera massa di carne umana svolgeva il lavoro, assoldata da incettatori, lontana dal suo paese, senza appoggio senza forza per difendersi e far valere il suo diritto.

Le squadre numerose alloggiate presso il cascinale dei campi, esposte all'intemperie, dormivano sulla paglia, tra la sporcizia e gli insetti, tormentate dalle zanzare, colpite in gran numero dalle febbri malariche, nutrendosi con un pa­sto pesante e sempre uguale, e il loro tormentoso lavoro non pareva sopportabile a creatura umana.

La povera massa di fanciulli, di donne, di vecchi, curvi sotto il solleone, immerso fino alle ginocchia per 12-14 ore nelle distese di acqua stagnante delle risaie, punzecchiati dagli insetti, erano la più grande ingiustizia e la più grande vergogna dell'umanità che permetteva tale infinito marti­rio.

Molte erano le creature che soccombevano non potendo reggere a questo regime di tortura prolungato per un mese e mezzo circa.

I sopravviventi, dopo la monda, tornavano al loro paese in uno stato di depressione morale e fisica del quale risen­tivano per mesi e mesi.

La Federazione Nazionale volse subito la sua protezio­ne, il suo interessamento solidale a quei branchi di lavora­tori colpiti da tanta crudeltà.

A traverso infinite serie di scioperi, di agitazioni, di pro­teste, di comizi, poté man mano migliorare quelle tristissi­me condizioni di lavoro ed ottenne nel giugno 1907 una Legge che disciplinava le condizioni di lavoro in risaia, li­mitando l'orario a 10 ore, sottraendo le mondine alle specu­lazioni degli incettatori, e prescrivendo precetti igienici per i dormitori e per il vitto.

La Federazione provvide pure a creare un Ispettorato in risaia il quale aveva l'incarico di sorvegliare che il lavoro si svolgesse nelle condizioni igieniche prescritte, e denunziò migliaia e migliaia di proprietari che cercavano di eludere le disposizioni della legge”.

 

“Io ti conosco fascista dal berretto nero e con l'insegna della morte, che terrorizzi i poveri lavoratori. Sei nato nell'ampia palude del Ferrarese che confina con il Polesine ove crescono i canneti e vivono le rane. Sei figlio dei lavoratori della terra anche tu, ed i tuoi diedero sudore e vita al solco per produrre il grano ed il riso per i padroni. La tua infanzia non ebbe sorrisi e carezze e fu martirizzata da ogni sofferenza. Tu crescesti più nella strada che nella casa, più ignudo che vestito... affamato sempre. Non avevi ancora fatte le ossa, quando fosti costretto a lavorare per guadagnare un po' di quel magro alimento di cui era avida la tua bocca. E anche tu, in un giorno di entusiasmo vibrante nel cuore dei lavoratori, in un I° maggio entrasti nella lega che univa tutti gli sfruttati in uno sforzo collettivo di difesa dei loro corpi e di rivendicazione delle loro anime maciullate dalla schiavitù.

Ricordalo quel giorno, in cui il grido irato della inutile bestemmia si tramutò in un inno di speranza nell'avvenire di giustizia dei lavoratori di tutto il mondo. E fu più lieta la tua vita da quel giorno per il migliora mento conquistato a grado a grado, sul tuo misero salario e alla dignità di uomo, attraverso le lotte e gli scio peri coraggiosamente sostenuti da tutti i tuoi compagni in lega con te. In dieci anni molte cose vedesti cambiate nel tuo paese! Si fabbricarono palazzi per le scuole, fu eletto sindaco un contadino, la cameraccia che fu la prima sede della lega, fu trasformata in una bella casa del popolo a due piani con la cooperativa di consumo al pian terreno.

Tu non eri contento di queste povere conquiste... eri la perenne protesta, la voce sobillante nelle assemblee e nei comizi che diffidava di tutto e di tutti; che non sperava nella lenta e continua assunzione dei lavoratori attraverso l'organizzazione economica e politica, ma reclamava l'azione diretta e la rivoluzione immediata.

La guerra, il mostro sterminatore della umanità e della civiltà, batté specialmente alle porte dei lavoratori dei campi per portarli via, ed anche tu fosti condotto tra le zanne del cannone per uccidere e morire. Nelle coste dentate di montagne tutte invase dal fuoco ed avvolte nel fumo, passasti di trincea in trincea, mentre la borghesia imboscata faceva lauti affari sull'edificio della guerra. La morte ti risparmiò sfiorandoti ogni giorno per quattro lunghi anni e finalmente tornasti al tuo paese, più inasprito nel tuo carattere di ribelle, più incrudelito nel cuore, più pessimista nell'anima.

La fede socialista che per un tempo di aveva sorretto era scomparsa lasciando posto all'odio, che si era alimentato in trincea fra la sofferenza e la paura, sprigionando un fuoco inestinguibile di ribellione e di insaziati desideri. Il tuo temperamento agitato di violento aveva fede soltanto nella violenza, che tu predicavi in contrasto con il socialismo, contro i socialisti, esaltando la rivoluzione e la dittatura proletaria.

Oggi sei fascista, sicario pagato dagli agrari per distruggere col bastone e con le micidiali armi corte, le conquiste che i tuoi compagni lavoratori hanno ottenuto in vent'anni di lotte, di scioperi, di sofferenze di ogni genere. Sei diventato fascista perché tu non vuoi più lottare per i piccoli miglioramenti che hai disprezzato, perché costano fatica e sacrifici, richiedono coscienza di dovere oltre che di diritti. La rivoluzione non ti ha dato il posto di dittatore che volevi e tu ti sei preso quello di tiranno della reazione, di flagellatore dei deboli, di assassino dei tuoi fratelli, di incendiario delle istituzioni edificate con il lavoro e con la civiltà di pensiero dei lavoratori. Invano vuoi distruggere ogni ricordo del tuo passato in comunanza coi lavoratori!

Se passi dal cimitero ricordi di tua madre e tuo padre che vi furono portati dal corteo di tutti i lavoratori del paese, con le rosse bandiere abbrunate! Se vedi un compagno d'altri tempi, lo bastoni prima che esso ti guardi in faccia, perché sai di avergli predicato la rivoluzione contro i signori che oggi ti pagano per essere lo strumento del loro predominio. Invano vuoi sottrarti alla manifestazione del I maggio! Essa ti persegue dovunque col ricordo dei bei giorni, e invano trattieni il sobbalzo del cuore alle note di un inno a te noto che ritorna nelle tue orecchie anche contro il tuo volere di rinnegato. La mania della distruzione ti ha invaso perché oggi tu vivi soltanto per ciò che distruggi, perché credi di non sentire più il rimorso della tua coscienza soltanto il giorno in cui nulla resterà del passato!

Ma l'idea non si distrugge col bastone, né con la rivoltella, né con gli incendi, essa sola è immortale! E molti dei tuoi compagni che oggi sono profughi, miseri, disoccupati, lontani dalle loro famiglie perché minacciati di morte, da te e dagli altri sicari fascisti pagati dai padroni, sopportano eroicamente ogni privazione, resistono ad ogni dolore perché l'idea li sostiene e li fa sperare nel domani.

Ci pensi, o fascista, o simbolo della miseria morale e della schiavitù padronale, quale sarà il tuo domani? Tu hai dei fanciulli che vivono oggi con il denaro maledetto delle spedizioni punitive, degli assassinii, degli incendi ai quali ti sei prestato. Essi rappresentano un domani che potrà pesare sul tuo capo più di qualsiasi imprecazione che oggi ti maledice!

Fascista proletario, figlio di proletari, padre di proletari, pensaci al tuo domani che sarà inevitabilmente lo stesso dei lavoratori che tu flagelli con le bastonature che ti sono pagate”.
("La Terra", 1° maggio 1922)